Lo smart working sta cambiando (anche) il mercato immobiliare: ecco come


Chiunque abbia la possibilità di girare per le aree delle grandi città a maggiore concentrazione di uffici, si sarà probabilmente reso conto di una minore presenza di lavoratori e studenti nelle realtà urbane. E non è certo difficile ricondurre tale determinante al ricorso crescente allo smart working, che da sei mesi a questa parte ha indotto un ampio numero di aziende ad autorizzare i propri dipendenti a lavorare da casa (in verità, in modo più o meno “convinto”), qualora la loro mansione non richieda una presenza fisica in ufficio.

Le conseguenze di tutto ciò sono evidenti non solo sul fatturato di bar e ristoranti che usufruivano di un maggior ricorso ai propri servizi da parte dei lavoratori, quanto anche sul mercato immobiliare: gli appartamenti senza affittuari continuano a crescere, e in diverse zone delle grandi città le richieste di case da acquistare sono calate.

Ma il fenomeno è destinato a durare a lungo? O si tratta solo di un’evoluzione temporanea che è destinata a rientrare con il passare del tempo?

Il south working: un nuovo termine, per un nuovo contesto

Come in ogni nuovo scenario che si rispetti, non ci è voluto poi tanto affinché anche in questa occasione si coniasse un nuovo termine: il south working. Ovvero, il rientro a domicilio (spesso, al Sud), di lavoratori e studenti fuori sede nei propri luoghi di origine, con la maggior parte di essi che non ha ancora fatto ritorno presso il posto fisico di lavoro, potendo adottare invece delle soluzioni di smart working.

È evidente che quello che poteva qualificarsi come un fenomeno del tutto momentaneo e transitorio, si sta prolungando di mese in mese: gli esami all’Università continuano ad essere programmati a distanza, mentre il lavoro flessibile permette a centinaia di migliaia di lavoratori di poter svolgere le stesse mansioni dal tavolo di cucina di casa propria, piuttosto che dal proprio ufficio. Il risultato?

Secondo quanto afferma una prima stima de Il Sole 24 Ore, negli ultimi 20 anni Milano avrebbe “guadagnato” circa 100 mila residenti provenienti da altre regioni d’Italia, e soprattutto dal Mezzogiorno. Una parte rilevante di questi, non di facile quantificazione, è tuttavia già rientrata nel luogo di origine, continuando a lavorare online, ma privando il capoluogo lombardo di consumi e domanda immobiliare di locazioni e compravendite.

Le previsioni per il futuro

Difficile, in questo scenario, fare delle previsioni per il prossimo futuro. Lo strumento dello smart working, d’altronde, esisteva già. Semmai, a non esistere era la propensione delle aziende a sfruttare in maniera convinta questa condizione, che per troppo tempo è rimasta nell’alveo delle generose concessioni a qualche dipendente.

Ora le cose sono evidentemente cambiate, e un evento esogeno al mercato produttivo e a quello immobiliare come il Covid-19 sta ponendo gli operatori di fronte a un contesto che potrebbe durare ancora a lungo. L’assenza dei fuori sede potrebbe in altri termini estendersi ben oltre i confini annuali o biennali, quali quelli che – ottimisticamente – dovrebbero separarci da un vaccino, andando a modificare alla base le valutazioni degli investimenti immobiliari.

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